Ironman Francoforte: un viaggio lungo un anno

 

Ironman  Francoforte: un viaggio lungo un anno
3.8km a nuoto, 180km di bicicletta e 42km di corsa. Questo è l’Ironman.
Solo quattro anni fa, quando ho iniziato a praticare il triathlon, sembrava una prova impossibile... un sogno irrealizzabile, ma non è stato così.
Dopo alcuni anni di esperienza, nei quali ho speso molto del mio tempo libero allenandomi ed affrontando gradualmente prove sempre più impegnative, finalmente mi sono sentito pronto per il grande passo e, a luglio del 2013, è arrivata la decisione: mi iscrivo all’Ironman di Francoforte previsto per il luglio successivo.  Già... un anno prima. Decidono di condividere con me questa sfida i consueti compagni di avventura: Massimo e Riccardo.
La preparazione per una gara del genere non si improvvisa, la pianificazione deve essere meticolosa e va coordinata sia con gli impegni familiari che con quelli lavorativi.
Grande entusiasmo e si comincia.
Bisogna pensare a tante cose: all’alimentazione (si va dal dietologo), al materiale tecnico (mi tolgo lo sfizio della bici da crono, convincendomi che mi serve, ma in realtà so che è solo perché “la voglio”) e naturalmente alla preparazione fisica.
Gli allenamenti sono lungamente studiati e pianificati nel dettaglio. Ogni sessione ha un obiettivo specifico, (tecnica, forza, velocità, resistenza, flessibilità...) questo serve per renderli vari e per capire che si sta costruendo qualche cosa: sono tutti pezzi diversi dello stesso puzzle, e servono tutti a completarlo.
Se va tutto bene sono una decina di sessioni a settimana.  Si va in palestra per un po’ di potenziamento, si corre tre volte, la sera dopo il lavoro ed il sabato, si nuota tre volte, sacrificando qualche pausa pranzo e una sera alla settimana con i compagni di squadra, si pedala tre volte (in inverno significa rulli in salotto, spinning  e lunghe domeniche fuori casa). Totale: dalle 12 alle 16 ore alla settimana.
Chi mi sta accanto, “Santa Roberta da Milano”, si arma di pazienza, mi sostiene spingendomi ad allenarmi anche quando non ne avrei proprio tanta voglia e, fortunatamente per me, non decide di cambiare la serratura di casa.
Nel frattempo la data si avvicina e comincia il toto tempo, si insinuano dubbi e paure nella mente:  ma ce la farò a finire? Confronti continui con i compagni di avventura, di allenamento e dieta, anche se spesso si parla davanti a una bella tavola imbandita e ad un bicchiere di vino... in fondo dobbiamo anche rilassarci.
Il tempo passa e la data fatidica si avvicina. Più si avvicina e più mi rendo conto che tra poco dovrò farla veramente “quella roba là”. In realtà ho la coscienza a posto: mi sono allenato bene e, a parte un piccolo infortunio che ho dovuto gestire, so che sarò pronto. In tutte le gare di preparazione che ho fatto, ho sempre migliorato il mio record dell’anno precedente. Ho fatto i compiti e so che arriverò al traguardo. Ma intanto... Pauraaaa!
Finalmente arriva il week end dell’Ironman e sono a Francoforte. Arrivano i messaggi di incoraggiamento e rassicurazione degli amici dei compagni di squadra e io.... penso a cosa racconterei se qualche cosa andasse storto.
Il giorno prima della gara, ritiro il pettorale ed il chip. La tensione comincia a salire. Dopo aver preparato la bici e tutto ciò che servirà per la gara, vado finalmente in “zona cambio” dove dovrò lasciare il materiale per la partenza. E’ sempre il momento più bello del pre-gara. Incontro tantissimi atleti e respiro l’atmosfera dell’attesa: un misto di eccitazione e ostentata sicurezza da parte dei timorosi e di finte perplessità e dubbi da parte degli atleti più forti. Una particolarità del triathlon è che amatori e professionisti gareggiano insieme. L’evento di domani è valido per il titolo europeo e scopro che tra i partenti, insieme a me,  ci sarà il campione del mondo....non male, “chissà se è agitato anche lui”, penso.
Gironzolo un po’ tra le bici vedendo mezzi incredibili e scambio qualche commento con partecipanti che arrivano da ogni parte del mondo. Vado a vedere il lago nel quale ci tufferemo domani all’alba. Qualcuno sta provando a nuotare un po’ per vedere com’è l’acqua. Ok tutto sotto controllo.
Torno in albergo e dopo una cena con i miei amici vado in camera a per provare a dormire un po’, ma mi addormento tardi.
Alle 3.40 suona la sveglia. La sala della colazione  è curiosamente già animata, ma silenziosa, sono tanti gli atleti che soggiornano nel mio albergo e questo è il momento nel quale tutti si chiedono cosa ci fanno qua, svegli a quest’ora, per affrontare l’inferno che ci aspetta fino a stasera.
Arriva il momento della gara. Sono le 7 e migliaia di atleti, che la muta nera pare aver trasformato in  pinguini, si sono appena calati nel lago e sono pronti a partire. Un elicottero vola basso sull’acqua e, insieme alla musica diffusa a tutto volume dalla riva, contribuisce a portare all’apice l’emozione dell’attesa. Ho il cuore in gola e cerco di allentare la tensione scambiando qualche battuta con un ragazzo inglese che galleggia accanto a me in attesa del via.
Finalmente suona la sirena e ... si parte. Tremila nuotatori si muovono e mulinano braccia e gambe simultaneamente nell’acqua: che spettacolo!
Dopo qualche minuto di emozione trovo il mio ritmo. Con inaspettata tranquillità mi metto alle spalle la frazione di nuoto, quella nella quale mi sento meno a mio agio, e salto in bici.
E’ il momento della pazienza. Per portare a termine una competizione così lunga bisogna “eseguire” quello che si è imparato e preparato in un anno di allenamenti, la gara vera, se c’è ancora energia disponibile, inizia dopo la metà della maratona. Tutto prima deve essere interpretato come un lungo, duro allenamento, senza esagerare. E così faccio.
Ritmo regolare, senza esagerare. Mi concentro sull’alimentazione e sull’idratazione: oggi consumerò circa ottomila calorie e perderò setto-otto litri di liquidi che vanno reintegrati da subito, prima di aver fame o sete. Tempistiche e cibo (“simpatiche” barrette, gel  e sali che dovrò trangugiare per tutto il giorno) tutti già studiati e provati in allenamento, per evitare reazioni inattese.  Ai lati della strada il pubblico incita e aiuta a trovare coraggio ed energie. In alcuni tratti di salita gli spettatori si avvicinano e si stringono tanto che sembra quasi non si riesca a passare. Mi sento al giro d’Italia, incredibile!  Va tutto come previsto ed in poco meno di sei ore, come nei piani, termino la frazione di bici e mi preparo a correre. Lascio la bici ed  infilo le scarpe al volo.
E’ il momento di soffrire. So già che succederà, spero solo che sia il più tardi possibile. Il percorso della maratona è un giro da ripetere quattro volte. Parto al mio passo e sto attento a non andare troppo forte, anche quando potrei. Va tutto bene per le prime due ore: le gambe girano bene, il pubblico,  Roberta che mi incita ad ogni passaggio. Poi....poi si soffre: ecco, un anno di allenamento solo per affrontare le prossime due ore. Fa molto caldo, le gambe faticano a muoversi. Ad ogni ristoro bevo e prendo un bicchiere di ghiaccio che verso direttamente nel body per cercare un po’ di sollievo. Ora cammino 30 passi e corro un Km, poi ancora 30 passi e poi un altro Km e penso “mai più!”. Finalmente vedo davanti a me Massimo, sono un giro davanti a lui, ritroviamo entrambi fiducia.... che strana la mente. Riprendiamo a correre bene entrambi e per qualche chilometro e ci facciamo un po’ di coraggio, poi lui rallenta. Lo rivedrò all’arrivo.
Ma ormai per me è quasi finita. Mancano solo 6 km e comincio a capire che ormai ci sono. Ricomincio a guardarmi intorno: i bambini che allungano le mani per darmi il cinque, il pubblico che mi incita: che emozione! Mi godo questi ultimi minuti di sofferenza che mi separano dall’arrivo, sono quasi in trance.
Ultimo kilometro, è fatta! Mentre mi avvicino al tappeto blu che porta all’arrivo non so se ridere o piangere... Mancano 200 metri e ora le mie gambe sono leggere, tutta la fatica sembra svanita, volo fino alla finish-line e sento lo speaker che pronuncia la frase che aspettavo da un anno:
 “William, you are an Ironman”
Mi volto stremato e guardo il tempo: 12h 00’ 50”, sorrido e penso...accidenti, mi toccherà farne un altro per togliere quei 50 secondi. Ma sono fiducioso perché ora lo so che... “anything is possible”.

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