La mia Maratona: dai vip agli "ultimi"

Il mio racconto della maratona delle Dolomiti non può che partire da una settimana prima la data fatidica. E’ lunedì 4 luglio, la forma è già discreta: gli anni scorsi mi sono sempre limitato al percorso medio, qualche volta con grossi rimpianti per averlo terminato con buone riserve e per non aver tirato dritto al bivio di Cernadoi. Stavolta ho un buon numero di salite nelle gambe, purtroppo fatte quasi tutte in solitaria. Manca la prova classica prova del 9 e decido di affrontare un giretto da 130 km e 4mila di dislivello (praticamente il lungo della maratona) tra Cernobbio e Mendrisio. Sì, lo so. E’ assolutamente contrario alle leggi del buon allenamento. Ammiro i compagni che riescono a inanellare una settimana dietro l’altra Feltre, Giordana e Marmotte. Ma loro sono evidentemente di un altro pianeta. Io invece compio l’errore del più tenero pivellino e affiora l’atroce sospetto di aver fatto la Maratona sì, ma nella settimana sbagliata. Un sospetto che piano piano, sentendo le gambe vuote e i muscoli ardenti dei giorni successivi, si trasforma in realtà.

Al via però ci sono, e ci mancherebbe altro! Il mio numero di pettorale ha soltanto tre cifre: significa che sono nel primo gruppo. Quello di chi corre veramente, dei vip più o meno in passerella, di chi ha diritto in quanto giornalista.  Appartenendo a quest’ultima categoria, e non facendo parte della prima, mi accuccio in un angolino in fondo alla griglia, quasi a non voler disturbare. Alla partenza il primo gruppo è quindi già davanti a me e anche i primi del secondo, che vanno molto più forte, mi sfilano via rapidamente. Ma non è un problema: la Maratona è comunque lunga, altrimenti non si chiamerebbe così… I problemi arrivano alla prima discesa: sarà il freddo, la colazione sbagliata, la schifosa barretta che si infila per traverso, ma di quello che succede lì preferisco risparmiarvi i particolari splatter. In un colpo mi trovo con stomaco e gambe vuote, mentre la testa forse già lo era da tempo.     

Riprendo la corsa, pedalando più che altro per forza d’inerzia, e scalo gli altri 3 passi del Sella Ronda arrivando a Corvara, al punto fatidico, dove il destino si decide in una manciata di secondi. Ci fosse stato uno qualsiasi dei mitici Cassinis avrei sentito urlare TENERE!, oppure mi sarei sentito arrivare un colpo ben assestato sul sedere per convincermi a tirare dritto. Invece sono solo, e cedo alla tentazione: metto la freccia a sinistra e chiudo con poca gloria la mia Maratona “ufficiale” in mezzo a un gruppetto di sciatori della squadra italiana in gita sociale. Basta con le fatiche, basta con i sacrifici, i chilometri macinati in allenamento. Se non ci si diverte più, che senso ha imporsi questi supplizi? Resto lì solo, con i miei rimpianti e maledico l’Sms che mi fa i complimenti perché hai completato il Sella Ronda in 2 ore e 59 minuti.

Decido di annegare la mia tristezza in un piatto di tortellini offerti da Giovanni Rana e in una bistecchina di maiale. Sono tra i primi avventori del palaghiaccio, a stento lo hanno aperto. Nel pomeriggio sarà invaso da una fiumana umana festante. Fuori intanto sfila il resto dei 9mila partecipanti, pronto ad affrontare il Campolongo per la seconda volta. Molti si fermano, tenerissimi, a salutare famiglia e amici e poi ripartono. Mi attardo a osservarli e lì arriva anche, inaspettata, la mia seconda chance: tra gli ultimi che riescono a infilare il cancello del “medio” prima che cali il sipario scorgo infatti Marco e Danilo, due dei quattro carissimi amici che mi hanno accompagnato nel viaggio a Santiago de Compostela. Hanno le loro Cube ibride, pesanti, ruote larghe con cui hanno pedalato per Spagna e Portogallo. Per fortuna hanno sostituito i pneumatici scolpiti e tolto borse, parafanghi e porta pacchi. Sono già visibilmente provati, ma hanno intenzione di portare a termine la loro impresa. Mi invitano a seguirli e io non me lo faccio dire due volte: info rco di nuovo la bici e riparto per la mia seconda Maratona. 

Loro hanno bisogno di me, di uno che li guidi lungo il percorso, che li inciti in salita, che faccia la spola fra l’uno e l’altro quando inevitabilmente si perdono di vista. Ma l’impressione è che sia più io ad avere bisogno di loro, del loro entusiasmo, della voglia di andare oltre l’ostacolo, di cercare l’impresa. E difatti, fin dalle prime rampe del Campolongo, mi si schiude di fronte un mondo nuovo. Merito della velocità tranquilla alle quale sto procedendo, che mi permette di osservare il panorama impareggiabile. Merito soprattutto delle persone che incontro sul percorso: gli ultimi degli ultimi. Qua vedo di tutto,a partire da bici improbabili: una che aveva tutte le carte in regola per l’Eroica, alcuni tandem, molte Mtb (una addirittura biammortizzata!). Anche certi personaggi sono improbabili e non hanno niente a che vedere con un’atleta. Salgono quasi tutti soli, al massimo in coppia, la gran parte di loro è straniera e non ha il conforto di una squadra che li segue e li assiste. Si fermano spesso, all’ombra di un abete per riposare o a una fontana per fare rifornimento. Qualcuno procede a piedi, nonostante il Falzarego sia lontanissimo parente del Mortirolo. Il Presidente ha forse ragione quando dice che alla Maratona molti si improvvisano gran fondisti (io probabilmente sono il primo esempio…), ma perché dobbiamo togliere loro la possibilità di costruirsi e realizzare il proprio sogno? Che male fanno? Perfino il carro scopa non si vede da queste parti, forse perché è impegnato sul Giau.

I miei amici se la cavano egregiamente: sputando l’anima in salita, ma mettendo in riga regolarmente con le loro bici e la loro abilità pedalatori ben più blasonati in discesa. Io stesso faccio fatica a stare loro dietro e alla fine troverò sul Garmin segnata una velocità massima di 79,8 km orari, che non è niente male per un peso piuma come me.

Inutile dire che i rifornimenti sono tutti nostri, il mio stomaco finalmente libero da condizionamenti fisici e mentali fa incetta di strudel e crostate. L’apoteosi la raggiungiamo in cima al Falzarego, quando ci mischiamo ai provenienti dal percorso lungo e ci sentiamo anche noi un po’ degli eroi. La picchiata successiva verso La Villa è una goduria e gli ultimi 5 km di falso piano soltanto un lieve fastidio: il traguardo è lì a due colpi di pedale, e i miei amici lo tagliano abbracciati sotto lo sguardo ammirato del loro gregario. Fatta: il medio in 7 ore e mezza, mai avrei pensato si potesse essere più felici. All’arrivo troviamo un altro compagno di Ciclotour, un po’ più performante, che ha già concluso da un bel pezzo la sua fatica e ci uniamo a festeggiare al palaghiaccio. Per fortuna che i miei amici sono talmente esausti da non riuscire a finire le loro porzioni. Qualcosa posso mangiucchiare quindi anche io, che i miei buoni me li ero fatti fuori 5 ore prima… La mia Maratona dai vip agli “ultimi” si conclude qui, con un bel brindisi al prossimo anno. Dove mi auguro però di trovare l’assistenza del Cassinis al gran completo,finalmente sorteggiato.

 

Maximilian Cellino

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